Suggestive montagne di sale adagiate su placide lagune, borghi ricchi di storia e crocevia di popoli, una natura maestosa a cui fa da sfondo il blu del mare: siamo nella provincia di Trapani, nella parte più occidentale della Sicilia.
L’itinerario, da percorrere in almeno quattro giorni per godere senza fretta delle meraviglie che l’isola offre, è prevalentemente facile con alcuni tratti più impegnativi e si snoda principalmente su strada asfaltata per un totale di circa 180 km.
Con le sue imponenti fortificazioni spagnole risalenti al XVI secolo, un centro storico costellato da splendidi palazzi barocchi e neoclassici e il bellissimo lungomare che invita a romantiche passeggiate al calar del sole, Trapani non è solo il punto di partenza del nostro itinerario, ma un’interessante città da esplorare. Un perfetto preludio alla Via del Sale: 29 km di rara e poetica bellezza da ammirare in sella alla nostra bici.
Il facile e pianeggiante percorso inizia lungo la strada provinciale sp21 di Trapani, tra candide saline e pittoreschi mulini a vento che si susseguono in un crescendo di emozioni prima all’interno della Riserva Naturale Saline di Trapani e Paceco, e poi, in prossimità di Marsala, in quella dello Stagnone.
La prima tappa è Nubia, dove ci fermiamo per visitare il museo del Sale e conoscere, così, le origini fenicie dell’antichissima tradizione delle saline. Le acque basse da un lato e le elevate temperature accompagnate dalla presenza del vento dall’altro apparvero, infatti, al popolo fenicio condizioni ideali per l’estrazione del sale. Il consumo su larga scala di questo prezioso elemento ed il suo impiego per la conservazione dei cibi presto ne decretarono il successo: il sale iniziò, così, ad essere esportato in tutto il bacino del Mediterraneo e divenne un elemento cardine dell’economia locale anche nelle epoche successive.
Nel museo vengono mostrate le diverse fasi della lavorazione del sale e gli attrezzi utilizzati per l’estrazione e la raccolta, ma la piccola frazione di Trapani vanta anche un altro prodotto che, seppur meno noto, si caratterizza per l’elevata qualità: l’aglio rosso di Nubia. Immancabile nelle ricette locali, come nel celebre pesto alla trapanese – a base di aglio, pomodoro, mandorle, olio, sale e pepe – con cui vengono condite le tradizionali busiate, piatto simbolo della zona del trapanese, l’aglio di Nubia si contraddistingue per il colore rosso al suo interno, l’intenso sapore e il confezionamento in grandi trecce, che vengono tradizionalmente appese ai balconi.
E’, però, in prossimità di Marsala, nella nuovissima ciclabile dello Stagnone, che costeggiamo la parte più suggestiva e spettacolare del percorso. Il paesaggio conserva la storia e la bellezza di questi luoghi, tra i cinquecenteschi tetti rossi dei mulini a vento e le zone paludose e salmastre popolate da più di 170 specie di uccelli e dai fenicotteri, rivelando ai nostri occhi il perfetto connubio tra natura e opera dell’uomo. Sullo sfondo le quattro isole della laguna: l’isola Longa, la più grande, Santa Maria, coperta di vegetazione, San Pantaleo, la più importante per via dell’antica città fenicia di Mozia, e il decadente isolotto di Schola.
Ci fermiamo nella splendida location della Salina Genna per ammirare, “pieds dans l’eau”, un indimenticabile tramonto: davanti a noi la variopinta tavolozza di colori creata dal riflesso del sole sugli specchi d’acqua delle vasche di cristallizzazione del sale.
Lasciata alle nostre spalle una delle ciclovie più suggestive d’Italia, proseguiamo verso capo Boeo, l’estrema punta occidentale della Sicilia dove, in posizione strategica sul Mediterraneo, sorge Marsala, l’antica Marsa Allah (porto di Dio) per gli Arabi. La città è stata teatro di un importante momento del Risorgimento italiano: è qui, infatti, che sbarcò Garibaldi nel 1860, come ricorda il monumento ai Mille sul lungomare. Tuttavia, a rendere davvero celebre Marsala furono poco prima gli inglesi, che nel Settecento scoprirono la vocazione vinicola di queste terre, aprendo le porte all’esportazione del famoso vino in tutta Europa.
La storia attribuisce, infatti, la nascita del Marsala al commerciante inglese John Woodhouse, che durante uno dei suoi viaggi fu colpito da un improvviso nubifragio e costretto a trovar riparo a Marsala. Qui, il vino locale dovette pargli tanto simile a quelli in voga nella sua terra in quegli anni, il Porto ed il Madeira, da voler introdurlo nei salotti inglesi. Per poter affrontare il lungo viaggio, però, decise di allungarlo con acquavite: nacque così il Marsala. Imperdibile la degustazione in una delle storiche ed ottime cantine della zona, come Fina, Martinez o Pellegrino, che ben ci predispone alla faticosa salita verso Salemi, la nostra prossima tappa, a cui giungiamo inebriati dalla bellezza dei vigneti e degli uliveti che ci circondano.
La cittadina medievale, che si erge maestosa nel cuore della Valle del Belice, si sviluppa attorno al castello normanno, da cui Garibaldi issò la bandiera tricolore proclamando Salemi prima capitale d’Italia il 14 maggio 1860. Annoverata tra i borghi più belli d’Italia, Salemi deve il suo fascino non solo all’invidiabile posizione ma anche alla pietra “campanedda”, una particolare pietra arenaria visibile nei palazzi dei quartieri ebraico della Giudecca e arabo del Rabato e nelle ben 25 chiese del centro storico, che con la luce del sole assumono calde tonalità che variano dal giallo al rosato. Iscritta dal 2012 nel Registro delle Eredità Immateriali dell’UNESCO, la campanedda è stata così ribattezzata per il suono emesso al battere dello scalpellino, che ricorderebbe quello di una campana.
Dopo aver ammirato lo splendido panorama dal castello ci concediamo una piccola sosta per l’assaggio di una delle chicche di queste zone: la “Vastedda del Belice”, presidio Slow Food, il cui nome deriva dalla forma che ricorda la tradizionale pagnotta siciliana di pane, la “vastedda”. Unico formaggio di pecora a pasta filata, è ottimo da degustare fresco, condito con olio, oppure nei tipici timballi di pasta al forno.
Proseguiamo tra filari di vigneti, campi di grano e torrenti verso il Monte Barbaro, dove sorge una delle grandi meraviglie archeologiche siciliane: la città di Segesta, che domina la vallata con uno straordinario panorama sulla campagna siciliana. Fondata dagli Elimi, una delle più antiche popolazioni indigene vissuta nella Sicilia occidentale tra il IX e il I sec. a.C, ha tra le sue principali attrattive il teatro, dove nella bella stagione è un must assistere alla rappresentazione delle tragedie greche mentre sullo sfondo le prime luci dell’alba donano all’ambiente un’atmosfera surreale.
Dall’affascinante e solitario entroterra puntiamo la costa nord-occidentale dell’isola per raggiungere il borgo di Castellammare del Golfo. Questa graziosa cittadina arabo-normanna, racchiusa tra le acque turchesi del Tirreno e il monte Inici, è immersa tra frassini, querce e lecci in un paesaggio ricco di vegetazione, il cui profilo è delineato da grotte e frastagliate insenature.
L’itinerario prosegue attraverso i 27 km che ci separano dal borgo marinaro di Scopello: un’imperdibile perla incastonata su un promontorio a picco sul mare. I Faraglioni sullo sfondo e il paesaggio bucolico e grandioso nella parte interna ne esaltano l’impatto scenografico. Un tempo conosciuto per la tonnara, oggi il borgo è principalmente noto per la sua bellezza e per l’accesso a uno dei luoghi più belli ed incontaminati della Sicilia, la Riserva dello Zingaro: 7 km di costa di dirompente bellezza, tra l’intenso verde della macchia mediterranea e le diverse sfumature di blu che lambiscono le candide spiagge delle sue sette calette. Scendiamo dalla sella per immergerci in questo paradiso, visitabile solo a piedi.
Sul lato ovest della Riserva dello Zingaro, San Vito lo Capo è celebre per il Festival del Cous Cous che si tiene ogni anno a fine estate ed ospita chef provenienti da tutti i paesi del Mediterraneo, pronti a sfidarsi per eleggere il miglior Cous Cous.
Proseguiamo sulla strada costiera che, attraversando lo scenografico paesaggio di Macari ed il borgo contadino di Castelluzzo, ci conduce alla Riserva del Monte Cofano, penultima tappa del nostro itinerario. Il fondo rosso dello sterrato iniziale contrasta con il verde delle palme nane ed il bianco delle rocce, che lasciano presto posto a calette e insenature dalle acque cristalline. Oltre Punta del Saraceno, a sud-ovest, le pareti diventano più ripide e a strapiombo sul mare e il percorso si fa più duro ed accidentato. A ristorarci, però, a fine sentiero ci attende un delizioso pane cunzato con pomodoro, olive, capperi e mozzarella, prima dell’impegnativa salita verso l’ultima tappa: Erice.
Situato a 750 metri d’altitudine sulla cima del Monte San Giuliano, questo splendido e maestoso borgo medioevale regala incredibili scorci panoramici su Trapani e sul golfo di Macari, che ricompenseranno le energie spese per affrontare l’impegnativo dislivello.
Fondata dagli Elimi, a cui risalgono le mura ciclopiche che delineano il perimetro del borgo, Erice fu poi conquistata da Fenici, Romani e Normanni. A questi ultimi risale il Castello di Venere, costruito nello stesso luogo in cui sorgeva un antico tempio pagano dedicato al culto della dea: al suo interno si può ammirare ancora oggi un pozzo in cui, secondo la leggenda, Venere stessa faceva il bagno immersa nel latte.
Una lenta passeggiata tra le vie lastricate del borgo ci conduce alla Torretta di Pepoli, bellissimo palazzo in stile liberty fatto edificare da Agostino Pepoli a fine Ottocento, da cui si gode un panorama che abbraccia tutto il golfo fino a Monte Cofano.
Terminiamo il nostro itinerario con una pausa gourmand da Maria Grammatico, vera e propria istituzione della pasticceria ericina. Qui l’opulenza siciliana si manifesta in un trionfo di colori e sapori, una degna e meritata conclusione per questo indimenticabile weekend siciliano.