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La dorsale peloritana in mountain bike tra storia, panorami e gusto

15 Settembre 2021

Un’imponente catena montuosa dal paesaggio solitario ed affascinante:

siamo nell’estremità nord-orientale della Sicilia dove la dorsale peloritana, prima di incontrare i Nebrodi presso Rocca Novara e Montagna Grande, si innalza come naturale prosecuzione dell’appennino calabro, con il quale ha in comune la composizione geologica nonché le caratteristiche fiumare, brevi corsi d’acqua impetuosi in inverno e asciutti d’estate, dal letto ampio e ciottoloso.

Secondo la leggenda i Peloritani prendono il nome da Peloro, che fu nocchiere della nave del celebre condottiero cartaginese Annibale. Quando il generale africano fu condotto nello Stretto di Messina credette di trovarsi in un golfo senza sbocco, poichè le coste siciliane e calabresi erano così vicine da sembrare ai suoi occhi un unico lembo di terra. Ritenendo, dunque, di essere stato ingannato, decise di far uccidere Peloro, ma resosi quasi subito conto dell’errore, si impegnò a far erigere un’enorme statua in suo ricordo sulla punta nord-orientale della Sicilia, che da allora venne chiamata Capo Peloro. Il mito viene narrato da diversi autori, tra cui Valerio Massimo, che scrive “da un’altura di quello stretto tempestoso si offre agli occhi di chi lo attraversa nei due sensi una statua, posta a testimonianza e ricordo tanto di Peloro, quanto della temerarietà punica”. Tuttavia, già nel VI sec. a.C., trecento anni prima, veniva praticato il culto della ninfa Pelorias, che avrebbe abitato le paludi della zona, e che fu rappresentata nelle monete dell’epoca.
Più realisticamente, Peloritano deriverebbe da un termine greco con il significato di “smisurato, gigantesco”, così come dovettero apparire questi monti all’arrivo dei Greci in Sicilia nell’VIII sec. a.C.


E lungo questa dorsale ricca di leggende si incontra uno dei percorsi di mountain bike più entusiasmanti in Sicilia, la strada provinciale 50 bis, un insolito ed affascinante itinerario di 70 km che si sviluppa tra Portella San Rizzo e Portella Mandrazzi, attraversando una natura incontaminata e maestosa, paesaggi mozzafiato che si aprono ora sul versante tirrenico ora su quello ionico e testimonianze storico-religiose che rimandano a tempi remoti.
Il percorso ha infatti una grande rilevanza storica, trovandosi nelle vicinanze del Monte Scuderi, dove sorgono i ruderi dell’antica città bizantina di Mikos. Inoltre, l’attuale sp 50 bis, fin dall’epoca romana era una strada militare, importantissima via di collegamento che congiungeva i due valichi di Portella San Rizzo e Mandrazzi. Anche in epoca medievale e nei periodi successivi venne percorsa non solo per scopi militari, ma anche commerciali e strategici, rappresentando il percorso naturale più breve per gli abitanti dei comuni dell’entroterra per recarsi nelle zone costiere. Durante il Regno d’Italia l’accesso fu poi autorizzato ai soli militari per raggiungere gli avamposti difensivi dello Stretto di Messina e della Piana di Milazzo: i Forti Umbertini e le Batterie.
L’itinerario, che si snoda prevalentemente su fondo sterrato e in alcuni tratti su pietraie, è impegnativo e richiede esperienza in mtb, ma la fatica verrà ricompensata dalla straordinaria bellezza di un paesaggio ricco di boschi, canyon, gole scavate dai corsi d’acqua, piccole cascate e, non certo meno importanti, luoghi dove concedersi piacevoli soste golose.
A tal proposito, in prossimità della partenza da Portella San Rizzo, troviamo subito “Don Minico”, lo storico locale nato dall’intuizione di Don Minico negli anni 50, oggi gestito dai suoi figli e nipoti che ne hanno ampliato l’attività creando un’azienda agricola e vitivinicola. La specialità è il celebre “panino alla disgraziata”, una ruota di pane di farina di frumento farcita con prodotti rigorosamente locali: verdure sott’olio, formaggio semi-stagionato prodotto nei peloritani e salame del territorio a grana media. Ci si accomoda all’esterno sulle panche in legno, assaporando il succulento panino mentre si contemplano meravigliosi squarci di mare tra la vegetazione circostante. Un ristoro per il fisico e per la mente.
L’ambientazione della “Casa di Cura” di Don Minico, così come il figlio ha ribattezzato la creazione del padre, è originale ed accogliente e vale di per sé una visita, con i cartelloni e gli slogan che esaltano le magiche virtù del panino alla disgraziata, non un semplice pezzo di pane farcito, ma un alimento dal potere “salvifico”, in grado di curare qualsiasi malanno con la sua bontà. Oggi i giudizi degli avventori si dividono tra i fan di vecchia data, che ritengono il panino non all’altezza di quello di una volta e, dall’altro lato, gli estimatori attuali, certi che la qualità e il gusto siano ancora gli stessi di un tempo. Comunque la si pensi, Don Minico è e rimane un’istituzione oltre ad essere, dal punto di vista logistico, situato nel punto ideale per far scorta di cibo in previsione della lunga tappa che ci aspetta.
Il percorso da Portella San Rizzo parte subito con una salita impegnativa in mezzo a un verdissimo bosco di pini, castagni, lecci e roverelle che giunge sino al Santuario della Madonna di Dinnammare, posto a 1.130m s.l.m., il cui nome deriverebbe dal latino “bimaris”, ad indicare proprio la vista spettacolare che da questo luogo si apre sui due mari, Tirreno e Ionio. Siamo infatti nella parte più alta di Capo Peloro, in una magnifica posizione che sovrasta le Eolie, la baia di Milazzo, Tindari, lo Stretto e Scilla. Il Santuario, spesso avvolto da una foschia che contribuisce ad aumentarne l’aura di mistero, si erge sulla cima dell’omonimo Monte e rappresenta uno straordinario crocevia che attira un crogiolo di visitatori: non solo ciclisti impegnati nel percorso della dorsale peloritana che dopo l’ardua salita prendono qui fiato respirando l’immensità dei suoi panorami, ma anche gruppi di biker in sella alla propria moto, fedeli in pellegrinaggio, escursionisti che si inoltrano nei sentieri all’interno dei Peloritani, birdwatcher intenti ad osservare la migrazione dei rapaci sopra lo Stretto in primavera e autunno ed infine semplici gitanti a caccia di vedute da immortalare con uno scatto fotografico. Un luogo evocativo ed emblematico che unisce spiritualità ad un contesto naturalistico e paesaggistico d’eccezione.

Trekking peloritani
Dopo il santuario l’itinerario procede per 40 km tra salite e discese che disvelano suggestivi panorami sull’Etna, sulle Eolie e, tra Pizzo Bottino e Pizzo Cavallo, sui tratti costieri. Si passa dal rifugio Casa degli Alpini (859 m s.l.m.), immerso nella bellissima Riserva di Fiumedinisi, unica area protetta attraversata dalla dorsale. Qui il paesaggio è caratterizzato da bellissimi esemplari di castagni, aceri montani, agrifogli e allori e dalla Fiumara di Fiumedinisi. Non lontano dal rifugio, accanto a una sorgiva, si apre una superba vista sul versante nord dell’Etna. Si prosegue percorrendo la Santissima, una discesa di 7 km che poco prima di terminare nel borgo di Fiumedinisi vanta un ottimo punto di ristoro a conduzione familiare in uno splendido tratto di natura selvaggia ed incontaminata: “Rusti e Mancia Cannetti”. Incastonato in una verdissima vallata stretta e profonda, l’agriturismo, situato sul ciglio della strada, con la sua struttura spartana in legno che ricorda una baita di montagna si integra perfettamente nell’ambiente circostante. Ad accompagnare il ghiotto pranzo lo sciabordio delle piccole cascate di acqua dolce che formano delle pozze sul letto del fiume di Nisi, appena sotto l’agriturismo. Qui tutto è fatto in casa: dalla pasta realizzata dalle sapienti mani della signora Carmela, nelle due varianti “alla norma”, con pomodoro, tocchetti di melanzane fritte e un’abbondante spolverata di ricotta infornata e “con il sugo di maiale” (quest’ultima merita una menzione speciale), alla carne – salsiccia, braciole messinesi e spezzatino di vitello – cotta dal marito Giovanni. Ad accogliere gli avventori la gentilezza di Santina, che con il fratello aiuta nella gestione del locale. La formula è quella del menù fisso: come preludio ai piatti “forti” descritti sopra viene servito un buon antipasto misto che racchiude le specialità del territorio, dai formaggi e i salumi ai pomodorini secchi e le olive, insieme a squisite polpettine di carne, alle verdure e alla ricotta in pastella, mentre delle deliziose frittelle di ricotta chiudono il pranzo. Nella stagione estiva si degusta la pecora al forno, realizzata con una lunga cottura di almeno sei ore secondo i dettami dell’antica tradizione messinese. Su prenotazione il ristorante è aperto sia a pranzo che a cena, con orari flessibili in base alle richieste pervenute.
Rinfrancati, si prosegue verso la terza cima per altezza dei Peloritani, Pizzo di Vernà (1.287m s.l.m.), con un paesaggio dalla vegetazione intatta: piante di erica arborea, farnie e pioppi lungo i torrenti. Dalla vetta di Vernà nasce, inoltre, il torrente Mela, che rappresenta un importante sito per la presenza della Woodwardiaradicans, una rarissima felce.
Il percorso volge al termine presso Portella Mandrazzi attraversando una delle aree più suggestive del tracciato, i cui boschi lussureggianti insieme agli scorci panoramici rimarranno un ricordo indelebile di questo magico percorso.