Isole Egadi: un mare di bellezza da scoprire in 7 modi

Infinite sfumature di blu su cui si adagiano bianche rocce di tufo che nel tempo assumono calde tonalità giallo-ocra, creando un magnifico contrasto che esalta entrambi gli elementi, il mare e la terra; misteriose grotte che si susseguono lungo il perimetro delle coste intervallandosi ad insenature ed anfratti; una tradizione secolare che ha fatto del tonno il protagonista indiscusso di questi mari: siamo nell’arcipelago delle Egadi, dove semplicità e bellezza si fondono, lasciando senza fiato chiunque vi approdi.

Situate a largo di Trapani e Marsala a pochi km dalla costa nord-occidentale siciliana, Favignana, Levanzo e Marettimo si affacciano su acque cristalline dalle incredibili gradazioni di azzurro che richiamano alla memoria mari caraibici. Ed è certamente quest’immediata e dirompente bellezza del mare ad accomunare le tre isole, attirando ogni anno moltissimi visitatori in cerca di indimenticabili bagni.

Favignana, la “farfalla sul mare”, come fu poeticamente ribattezzata dal pittore Salvatore Fiume negli anni ’70 per la sua morfologia caratterizzata da due grandi “ali” pianeggianti separate verticalmente dal Monte S. Caterina, è l’isola più frequentata delle Egadi non solo per la sua vicinanza alla terraferma, ma soprattutto per la straordinaria accessibilità delle sue meravigliose spiagge e l’ampia offerta ricreativa con molti ristoranti e locali dislocati su tutta l’isola.

A caratterizzare l’economia e il paesaggio di Favignana sono state per lungo tempo le cave di tufo, una pietra largamente utilizzata nel settore dell’edilizia. Oggi, sebbene, l’attività estrattiva sia stata abbandonata e soppiantata dal più redditizio turismo, le cave di tufo sono diventate uno degli elementi più affascinanti del territorio grazie alla loro trasformazione in bellissimi giardini ipogei. Al loro interno vigneti, orti e flora autoctona si sviluppano in “serre naturali” al riparo dal vento e dalla salsedine. L’antica arte dei “pirriatori” (tagliapietre) rivive, così, in questi giardini incantati dove natura e opera dell’uomo trovano nuove e più sostenibili forme di coesistenza.

Se il successo della brulla Favignana si deve principalmente alla semplicità di accesso alle sue bellissime spiagge, poco frastagliate e facilmente raggiungibili, il fascino della verdissima Marettimo, il cui nome deriverebbe dall’abbondante presenza di timo selvatico sull’isola, si cela nella sua natura rigogliosa e solitaria. L’isola si presenta come un’imponente montagna a picco sul mare, ricoperta da una vegetazione lussureggiante con numerose sorgenti d’acqua, boschi di pini e oltre 500 specie di macchia mediterranea. Sotto le bianchissime falesie dolomitiche si nascondono calette e grotte che attendono di essere scoperte con una gita in barca. Il piccolo agglomerato di case bianche dal fascino malinconico in prossimità del porticciolo rappresenta l’unica parte dell’isola urbanizzata, quasi schiacciata dalla natura imponente che lo circonda, con pochi ristoranti e le case dei pescatori, che spesso si trasformano in alloggi per i visitatori. È l’isola dei camminatori, di chi cerca un contatto autentico con la natura.

E poi c’è Levanzo, l’isola più piccola dell’arcipelago delle Egadi, il buen retiro per eccellenza dove godere della lontananza dal caos ed abbandonarsi ai ritmi isolani. Qui il tempo scorre lento, scandito dalle attività dei pescatori, che ci conducono volentieri alla scoperta di calette suggestive come Cala del Faraglione, Cala Tramontana o Cala Fredda. Alla bellezza del mare si aggiungono importantissime testimonianze dell’epoca preistorica, custodite all’interno delle grotte dell’isola, capaci di farci viaggiare indietro nel tempo.

E’ giunto il momento di iniziare il nostro viaggio attraverso 7 imperdibili mete nelle isole di Favignana, Marettimo e Levanzo.

Le meravigliose spiagge di Favignana: Cala Rossa, Cala Azzurra e Cala del Bue Marino

A Favignana, dove il mare non finisce mai di stupire né di incantare, troviamo Cala Rossa stabilmente nella top ten delle classifiche che premiano ogni anno le più belle spiagge d’Italia. Il nome deriverebbe dalla sanguinosa battaglia combattuta tra Cartaginesi e Romani nel corso della prima guerra punica (241 a.C.), che tinse di sangue queste splendide acque.
Vi si accede tramite una strada asfaltata, al termine della quale inizia un sentiero sterrato che in una decina di minuti vi condurrà in un posto da sogno. La candida scogliera che sovrasta un mare dal colore così azzurro e limpido da sembrare finto, con Levanzo che si staglia sullo sfondo, è un’immagine indelebile che rimarrà scolpita nella vostra memoria. Una parte della spiaggia ospitava in passato una cava di tufo; anche qui l’opera dell’uomo ha contribuito a creare suggestivi scenari, tra rocce squadrate e piscine naturali. Recatevi a Cala Rossa al mattino presto e se possibile fuori stagione, prima che sia presa d’assalto dai turisti e dall’incanto si passi rapidamente all’incubo.
Anche Cala Azzurra, con il turchese del suo mare è una delle mete più ambite di Favignana, adatta a tutti, anche alle famiglie con bambini. Si trova a sud-est dell’isola ed è formata da due piccole spiagge speculari, separate da una fila di scogli.
Tra le tappe immancabili vi è poi la spiaggia del Bue Marino, così chiamata perché qui un tempo vivevano le foche monache. Situata nell’estremità orientale di Favignana e spesso lambita da correnti, deve il suo fascino alla particolare scenografia del paesaggio, ancora una volta caratterizzato dalle cave, che qui assumono il profilo di enormi case di pietra color ocra dalle porte gigantesche, all’ombra delle quali trovare un fresco e piacevole riparo nelle ore più calde. La bianchissima scogliera sottostante invita a tuffi rigeneranti tra le sue acque cristalline.

Il “Giardino dell’impossibile” di “Villa Margherita a Favignana

Non lontano dalla celebre Cala Rossa ed immerso nella quieta campagna di Favignana, sorge il “Giardino dell’Impossibile”, l’esempio più rappresentativo di trasformazione di una ex cava di tufo in un luogo affascinante ed in perfetta simbiosi con la natura.
Questo meraviglioso giardino mediterraneo delimitato ed incorniciato da alte pareti di calcarenite che ne esaltano la bellezza, creando un percorso quasi labirintico e misterioso, ospita più di quattrocento specie di piante.
Un perfetto e riuscitissimo esperimento di recupero di un’ambiente destinato a diventare una discarica, fortemente voluto da Maria Gabriella in memoria del padre, ex pirriatore. La visita di questo luogo, intimo e maestoso nello stesso tempo, diviene un momento dove abbandonarsi all’esplorazione e alla contemplazione, immersi in un silenzio e in una pace che a Favignana sono uno di quei rari tesori da custodire.

Esplorare Le grotte di Marettimo

Raggiungibili solo via mare, le grotte di Marettimo sono tra i gioielli più preziosi di quest’isola dal fascino selvaggio. I misteriosi nomi attribuiti dai suoi abitanti disvelano il proprio significato come un’improvvisa epifania nel momento in cui vi si accede. E i molteplici blu delle acque che si celano dentro ogni grotta ogni volta ci appaiono, erroneamente, non raggiungibili da quella successiva. Tra le famose la grotta del Cammello, dove fino agli anni trenta vivevano le foche monache, la grotta della Pipa e del Presepio, quest’ultima contenente stalattiti e stalagmiti che ricordano le statuine del Presepio. Sotto Punta Troia, la grotta del Tuono ricorda il fragore di un tuono ogni volta che le onde vi si infrangono dentro. La grotta della Bombarda è, invece, nota per il soffio che si crea durante le mareggiate all’interno di una fessura. Infine, I ruttiddi, le “piccole grotte” dove nuotare all’interno di un tunnel di 40 metri che conduce alla romantica grotta degli innamorati.

L’ex Stabilimento Florio della Tonnara di Favignana

Ripercorrere le origini della Tonnara dei Florio significa non solo fare un tuffo nella storia degli ultimi duecento anni di Favignana, ma conoscerne anche tradizioni, cultura e riti, come quello della mattanza, che l’hanno permeata e fortemente caratterizzata a livello socio-economico.
Favignana fu acquistata insieme alla sua piccola tonnara dalla celebre dinastia imprenditoriale dei Florio nel 1874, dietro pagamento di un’ingente somma ai precedenti proprietari, i genovesi Pallavicini. In pochi anni venne costruita quella che divenne ben presto la tonnara più grande del Mediterraneo, dove ottocento dipendenti, provenienti anche dalle vicine isole, lavoravano alla trasformazione e conservazione del tonno. Nel mese di maggio, infatti, avveniva la “mattanza”, un vero e proprio rituale durante il quale il raìs coordinava le operazioni di cattura dei tonni, scandite a ritmo di “cialoma”, l’antico canto dei tonnaroti. Del tonno, dopo il dissanguamento, veniva conservato tutto. E furono proprio i Florio a presentare all’esposizione universale del 1891-92 l’invenzione della scatola di latta in cui veniva conservato il tonno. Fu un enorme successo che segnò la fortuna della famiglia, nonché il riscatto economico per gli abitanti dell’isola, e che proseguì ben oltre il declino dei Florio, fino al 2007, anno in cui lo stabilimento venne chiuso. Oggi è sede di un museo che raccoglie memorie, segreti e storie dell’isola, tra cui quelle di Zio Peppe, attuale custode della tonnara.

Il Sentiero per Pizzo Falcone (686 m) e Punta Troia (116 m) a Marettimo

Tra i sentieri più entusiasmanti che attraversano l’isola, il percorso che conduce alla cima di Pizzo Falcone ripaga la fatica dei suoi quasi 700 metri di dislivello con un meraviglioso panorama, di quelli che solo le vette delle isole sanno regalare.
Si parte dal centro di Marettimo in prossimità del ristorante “Il Veliero”, da qui si segue la segnaletica e in breve tempo si sale di quota a zig-zag tra pittoreschi scorci panoramici sul paese e sul porto. Dopo circa 45 minuti si giunge al sito archeologico di Case Romane (243m), dove potrete visitare l’antica chiesa Bizantina e i resti di un castrum romano, oltre a rinfrescarvi approfittando della fontana. Si continua l’ascesa attraverso lentisco, erica, euforbia e con un po’ di fortuna potrete scorgere i mufloni in lontananza. Seguendo le frecce sulle grandi rocce si raggiunge Pizzo Falcone, dove il vento accarezzerà i vostri volti mentre contemplerete in primo piano Levanzo e Favignana a est, sullo sfondo la costa siciliana con la punta di S.Vito lo Capo e Marsala, Pizzo Campana, la seconda vetta dell’isola (630 m) a sud, infine la parte più inaccessibile e selvaggia dell’isola, un profondo vallone dolomitico, a ovest.
Ripercorrendo il sentiero in senso inverso, a metà del percorso si prende la deviazione a mezza costa in direzione Punta Troia. Attraversato l’istmo, il sentiero con diversi sali e scendi diventa più impervio, ma la vista è mozzafiato. Un bagno rigenerante nelle limpidissime acque della spiaggia di Scalo Maestro e poi dritti verso Punta Troia (116m), un’ex torre di avvistamento araba divenuta castello sotto gli Spagnoli, tristemente destinata a divenire carcere di massima sicurezza come il Castello di Santa Caterina a Favignana. A strapiombo sul mare, ospita oggi il Museo delle Carceri e l’osservatorio della foca monaca. Tramite lo stesso sentiero si rientra al paese.

Degustare le prelibatezze ottenute dalla lavorazione del tonno

Le tonnare non hanno avuto solo un impatto determinante sullo sviluppo economico delle Egadi, ma ne hanno anche profondamente influenzato la cultura ed il patrimonio gastronomico.
Del tonno non si butta via niente: data la sua versatilità viene declinato in numerose specialità, a cui non potrete rinunciare se volete rendere l’esperienza alle Egadi più completa ed appagante. A partire dalla pregiata ventresca, la parte inferiore della pancia che viene conservata sott’olio ed essendo più grassa risulta più morbida e saporita. Vi è poi il tarantello, che corrisponde ai muscoli retro-addominali del tonno, in una scala di morbidezza a metà strada tra filetto e ventresca. Ed ancora la famosa bottarga, apprezzatissimo prodotto ottenuto dalle uova del tonno salate ed essiccate, da gustare grattugiata sulla pasta oppure tagliata a fette.
Il lattume è realizzato dalla lavorazione del liquido seminale del tonno che viene salato, pressato e fatto maturare per 40 giorni circa. Si ottiene così un gustoso salume da consumare tagliato a fette e condito con olio; nello stesso modo viene preparato il cuore, il primo scarto della lavorazione. Non possiamo dimenticare la ficazza, un ottimo salame preparato con la parte grassa del tonno posta vicino alla pancia, la polpa del dorso, ritagli e organi interni, la cosiddetta “busunagghia”. Di colore marrone scuro, viene utilizzata nelle insalate, oppure condita con olio e limone o ancora come condimento della carbonara di pesce.

La grotta del genovese e i fondali ricchi di storia a Levanzo

Scoperta nel 1949, la grotta del genovese offre uno degli esempi più importanti al mondo di arte parietale con trentadue incisioni e un centinaio di raffigurazioni di uomini, animali e della pesca del tonno risalenti al paleolitico e neolitico. Vi si accede percorrendo una mulattiera dal porto oppure in barca.
Levanzo è, inoltre, un sito straordinario per le immersioni, particolarmente emozionanti per la presenza di relitti e resti di epoca romana. Più precisamente, nel sito di Cala Minnola potrete osservare il relitto di una nave che sarebbe appartenuta ad una famiglia romana produttrice di vini che viveva in Campania e che affondò in queste acque lasciando sui fondali anche 80 anfore romane adatte al trasporto di vino.
Un altro sito molto interessante è Capo Grosso. Qui durante la prima guerra punica i Romani tesero un agguato ai Cartaginesi provenienti da Marettimo ed oggi è possibile osservare undici rostri romani, diverse anfore e reperti in ferro e terracotta.

Lasciatevi condurre dal desiderio di bellezza e dalla voglia di scoperta: le Egadi vi attendono per un’esperienza che vi conquisterà.

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Tra Etna e Nebrodi: un viaggio attraverso gli straordinari sapori siciliani

La Sicilia dei tesori gastronomici

Che la Sicilia fosse una terra in grado di manifestare la sua opulenza anche in campo gastronomico, grazie a materie prime di grande qualità e piatti dai sapori indimenticabili, non è certo una novità.

Il perfetto connubio, infatti, tra le condizioni climatiche favorevoli e la contaminazione apportata dalle numerose dominazioni – arabe, normanne, spagnole tra le altre – subite nel corso dei secoli, ha reso la Sicilia una fucina di prodotti eccellenti e di ricette sublimi.
Quello che non tutti sanno, però, è che al di là di prodotti noti ed apprezzati anche a livello internazionale, come gli arancini o il pregiato pistacchio di Bronte, la Sicilia offre una notevole varietà di sapori e di cibi meno conosciuti. Tale varietà è spesso merito delle tradizioni locali che vengono tramandate, con caparbia e fatica, di generazione in generazione, resistendo a una globalizzazione che spingerebbe al contrario verso la semplificazione e l’impoverimento dell’offerta gastronomica.
Percorreremo insieme un meraviglioso itinerario alla ricerca dei sapori del territorio nella parte nord-orientale della Sicilia. Protagoniste assolute di questo tour saranno, dunque, le imperdibili specialità delle province di Messina e Catania, di cui potrete fare incetta dopo aver terminato le vostre escursioni sull’Etna o sui Nebrodi.

Catania

Nella città che diede i natali al celebre compositore Vincenzo Bellini, la nostra esplorazione tra i sapori non può che avere inizio dalla celebre pasta alla norma: i suoi semplici ingredienti, pomodoro, melanzana fritta e ricotta salata, si amalgamano perfettamente creando un’esplosione di gusto al palato. Secondo una delle leggende la ricetta sarebbe stata creata da uno chef siciliano per rendere omaggio alla prima rappresentazione dell’opera di Bellini, la Norma, nel 1831.
I masculini da magghia, presidio Slow Food, sono alici pescate nel golfo di Catania grazie a particolari reti (magghie) che ne trattengono la testa, provocando un dissanguamento repentino. Questa tecnica di pesca consente di ottenere un prodotto particolarmente pregiato a livello organolettico, da degustare nella tipica pasta alla catanese, piatto gustoso ed equilibrato in cui il condimento prevede che alle alici siano aggiunti pomodoro e pangrattato.
Catania è anche la città per eccellenza della tavola calda: oltre ai classici arancini (il genere è maschile qui, così come in tutta la Sicilia orientale) al ragù, alla norma, al burro e al pistacchio, il panorama dei rustici annovera cartocciate, cipolline, bolognesi, bombe fritte e al forno, tutte specialità che trasformeranno la vostra curiosità in vera e propria dipendenza.
Nella stagione più fredda, immancabile sulle tavole catanesi, il cavolfiore affogato, uno strepitoso contorno che invita all’assaggio già durante la cottura grazie all’intenso profumo che sprigiona. Il cavolfiore, rigorosamente quello viola dell’Etna, viene posto nella padella creando degli strati con olio, olive nere, pecorino siciliano e cipollotto, e cucinato nel vino rosso, sormontato da un peso che “soffoca” e schiaccia la verdura. Il risultato è eccezionale, provare per credere.
E ai piatti invernali appartiene anche la scacciata, immancabile antipasto nel giorno di Natale: una sorta di pizza ripiena di tuma, broccoli, salsiccia e olive o, nelle sue varianti, di cavolfiore affogato, acciughe e tuma o ancora patate, tuma, pomodoro e cipollotto. Uno di quei comfort food da condividere con amici e parenti all’insegna della convivialità.
A Zafferana, comune dell’hinterland catanese alle pendici dell’Etna, troviamo la siciliana: un enorme calzone fritto farcito con tuma filante e acciughe. Roba da generare problemi di digestione solo nell’elencare i suoi ingredienti. Ma se non siete tra i fortunati che possono vantare stomaci forti, non disperate poiché potrete affidarvi a uno dei tanti digestivi, tra cui il seltz al limone e sale e il tamarindo, che i chioschetti vi prepareranno. Zafferana è, inoltre, nota per essere la città del miele, l’oro dell’Etna, considerato tra i migliori d’Italia per le sue note aromatiche. Qui la produzione raggiunge il 15% del prodotto nazionale e tra le varietà troviamo il miele di castagno, di sulla e di zagara.
E dall’unione di fritto e miele sono nate le crispelle di riso, street food invernale catanese, che hanno il loro corrispettivo salato nelle morbide e deliziose crispelle alla ricotta o alle acciughe.
Anche l’Etna fa la sua parte: la fertilità tipica dei terreni vulcanici ha infatti determinato le condizioni ideali per altri prodotti di elevata qualità e gusto come le pere spinelle, le mele dell’Etna o la fragola di Maletto, una fragola antichissima molto grande e dolce, oggi a rischio d’estinzione.
Catania è anche la città della carne di cavallo: indossate i vestiti più vecchi che avete e recatevi nei quartieri più antichi e popolari della città, dove tra i fumi della brace e le folcloristiche urla dei ristoratori assaggerete filetto, fiorentina e polpette di cavallo, magari accompagnate da una sapida insalata a base di pomodori, cipolla rossa e ricotta salata.
A sud dell’Etna si estende la piana di Catania, che nei comuni di Palagonia, Scordia e Francofonte rappresenta una delle zone siciliane maggiormente vocate alla produzione di arance rosse. Oltre alle dolcissime spremute, assaggiatele nella tradizionale insalata di arance.
Se il salato ci offre tantissimo, l’arte dolciaria catanese non è da meno, a partire da una delle specialità più appaganti ed universalmente apprezzate (ma anche imitate): la granita. Nei suoi diversi e innumerevoli gusti – mandorla, pistacchio, limone, caffè, cioccolato e, in stagione, gelsi, fichi, pesca e melone – ogni momento della giornata è quello giusto per degustarla. Accompagnata da una calda e fragrante brioche o persino dal pane, la granita è rito e tradizione, convivialità e puro godimento. Gli arabi, che durante la loro dominazione in Sicilia portarono lo sherbat, una bevanda ghiacciata a base di succhi di frutta, furono i precursori della granita, che secondo diverse fonti fu preparata per la prima volta ad Aci Trezza, tra il 600 e il 700.
Se la granita non fosse abbastanza, una colazione con iris, raviola alla ricotta – fritta o al forno e panzerotto scioglierà qualsiasi vostra riserva sulla pasticceria catanese. Inoltre, vale la pena ricordare i dolci realizzati in occasione delle celebrazioni dedicate alla santa patrona di Catania, S. Agata, in quella che per importanza e numero di partecipanti è la terza festa religiosa al mondo: le minnuzze di S.Agata, delle piccole cassate siciliane dalla forma che ricorda i seni della santa martirizzata, ripiene di ricotta e ricoperte da una glassa sormontata da una ciliegia candita, e le olivette di S.Agata, piccole olive di mandorla ricoperte di zucchero.
Concludiamo con l’oro verde, il pistacchio di Bronte, delizia ormai nota anche oltreconfine, la cui raccolta avviene ogni due anni. Condizioni climatiche, forma e sapore rendono il pistacchio di Bronte un prodotto unico. Gelati, granite, arancini, pesto e crema di pistacchio sono alcune tra le possibili declinazioni di questa grande eccellenza siciliana.

Messina

È all’interno dell’incantevole paesaggio dei Nebrodi, una delle tre catene montuose che insieme a Peloritani e Madonie costituisce la prosecuzione dell’appennino calabro, che si concentrano gran parte delle prelibatezze della norcineria siciliana. Qui vive allo stato brado e semi-brado il suino nero dei Nebrodi, la pregiata razza autoctona di suino dal manto scuro. Tra i prodotti ottenuti non perdete il salame fellata, il prosciutto crudo e la salsiccia, sia fresca che essiccata, cui il sapore intenso è una delle caratteristiche conferite dalla straordinaria razza siciliana.
Nel novero delle specialità norcine non può mancare il famoso salame di Sant’Angelo di Brolo, prodotto nell’omonimo borgo che sorge nella parte interna dello splendido tratto di costa tra Milazzo e Capo D’Orlando. Il salame qui prodotto, che si fregia del marchio IGP, beneficia di un microclima unico e ideale per la stagionatura. Pare che le origini siano da attribuire all’arrivo nell’XI secolo dei Normanni, che diedero impulso a nuove abitudini e consumi alimentari. Grana grossa, morbidezza e profumo intenso caratterizzano questo gustosissimo salame. E nello stesso borgo, se ai Normanni si deve l’origine del salame, agli arabi quella del bocconetto, dolce tradizionale a base di zucchina lunga candita e mandorle.
In una degustazione di prodotti dei Nebrodi che si rispetti quale accostamento ideale per i salumi se non quello con i formaggi? Ed ecco l’altro protagonista del territorio: la provola dei Nebrodi, un caciocavallo a latte crudo che viene ottenuto da una tecnica di caseificazione tramandata tra i casari dei comuni di produzione del formaggio siciliano. Consumata sia come formaggio da tavola che impiegata nelle ricette della tradizione, è un ottimo prodotto da degustare.


Sui Nebrodi trova il suo habitat anche una varietà autoctona di oliva, l’oliva minuta, da cui si ottiene un olio molto particolare dal gusto piccante e amaro, con un’ottima persistenza in bocca.
A Novara di Sicilia, un bellissimo borgo al confine tra Nebrodi e Peloritani ed in alcuni paesi limitrofi, viene prodotto un altro strepitoso formaggio dell’isola: il maiorchino. Secondo alcune fonti, le sue origini risalgono al 1600, quando sotto la dominazione spagnola veniva organizzata la festa della Maiorchina. Si tratta di un pecorino che richiede una lavorazione molto lunga, e per questo poco prodotto e diffuso, dal sapore deciso e dolce nello stesso tempo, con una lunga stagionatura che può arrivare sino ai due anni.
Tra le specialità da assaggiare a Messina c’è la deliziosa focaccia messinese, che ha lo strutto nel suo impasto e viene farcita con scarola, tuma e acciughe salate. A base degli stessi ingredienti è il pidone, un gustosissimo calzone fritto. E poi lasciatevi tentare dalle scagghiozze, sfiziosi tocchetti di polenta fritta.
Già nota agli appassionati di Montalbano, La pasta ‘ncasciata, è una delle migliori espressioni della sicilianità a tavola. Il suo nome deriverebbe da ‘u n’cascio’, il gesto di collocare la teglia della pasta sulla brace utilizzata per la cottura. Nella versione di Mistretta, diffusa in tutta la provincia, la pasta al forno è arricchita da melanzane fritte, ragù di carne, salame, pecorino, uova sode, caciocavallo o tuma: un trionfo di sapori per le papille gustative!
Tra i piatti di carne provate le morbide braciole alla messinese, involtini di vitello ripieni di formaggio, rigorosamente siciliano, cotti sulla brace.


Se vi state chiedendo che fine abbia fatto il pesce, eccolo in una delle ricette storiche, lo stocco alla messinese, piatto in cui lo stoccafisso, che venne importato in Sicilia dai Normanni, è condito con un succulento sughetto a base di pomodoro, patate, olive e capperi.
E poi, immancabile nella tradizione messinese, il pesce spada dello Stretto, che viene declinato in molteplici versioni: dalle braciolette al pesce spada al forno ricoperto di mollica.
Tra i dolci troviamo il bianco e nero, uno squisito dolce a base di bigné farciti di panna che richiama i profiteroles francesi. A differenza di questi ultimi, i bigné vengono però ricoperti di panna alla gianduja e da grosse scaglie di cioccolato.
E nella categoria dei fritti ecco che i balò alla ricotta e il torciglione messinese accontenteranno i più golosi, i primi con il loro morbido ripieno alla ricotta, il secondo con una deliziosa crema pasticcera.
Per chiudere i pranzi domenicali e per le grandi occasioni il dolce della tradizione è la pignolata, risalente alla dominazione spagnola ed un tempo realizzato solo nel periodo di Carnevale. Il dolce è composto da un insieme di gnocchetti fritti o al forno ricoperti da una glassa bianca e nera.

E ora non resta che passare dalla teoria alla pratica!

Trekking alle Eolie: i 5 sentieri da non perdere

Perché le Eolie sono la meta ideale per il trekking: alla scoperta di 5 imperdibili sentieri

Vette dagli incredibili panorami, splendidi sentieri immersi nel tripudio di colori di una natura incontaminata e rigogliosa, entusiasmanti camminate sui vulcani attivi per ammirarne l’intensa attività da spettatori privilegiati: il trekking alle Eolie è un’esperienza che non dimenticherete.

Ciascuna delle 7 isole dell’arcipelago eoliano offre agli escursionisti diversi itinerari di trekking, non sempre ben segnalati, che presentano generalmente un grado di difficoltà medio sia per il dislivello che per la condizione dei sentieri. Il clima temperato, tipico delle isole mediterranee, consente inoltre di poter affrontare i vari percorsi durante tutto l’anno.
La primavera è, indubbiamente, uno dei momenti migliori per godere dell’esplosione dei colori della macchia mediterranea ed anche per avvistare uccelli come il gabbiano reale e il falco della regina. L’autunno vi permetterà, approfittando di temperature meno elevate dell’estate ma con un mare ancora “caldo”, di poter tuffarvi in acqua al termine del vostro trekking senza altri turisti attorno.
Per chi sceglie l’estate, nelle giornate più calde ricordate di effettuare le escursioni molto presto al mattino oppure nel tardo pomeriggio, portando con voi molta acqua.
Ed eccoci, macchina fotografica nello zaino, pronti per il nostro tour tra i cinque sentieri più belli e suggestivi delle Eolie.

Cratere dello Stromboli, Stromboli (2h)

Stromboli è l’isola in cui i quattro elementi – acqua, terra, aria e fuoco – si congiungono, lasciando senza fiato chiunque passi da qui.
Le fontane di lava, le costanti esplosioni e la pioggia di cenere creano, infatti, un meraviglioso spettacolo naturale che non smette mai di impressionare, il tutto amplificato da un contesto scenografico d’eccezione.
Tra le esperienze più belle ed entusiasmanti di trekking alle Eolie non poteva, quindi, mancare l’ascesa al cratere dello Stromboli – “iddu”- per osservare da vicino l’attività vulcanica in notturna.
Dal 2019, in seguito a due violente esplosioni, per ragioni di sicurezza non è più possibile raggiungere il punto più elevato dell’isola. L’attuale limite massimo è stato fissato a 400 m sul livello del mare, solo se accompagnati da guide; da soli è possibile arrivare fino a 250 m.
L’itinerario, che abbiamo percorso con la guida, inizia dopo la Chiesa di S. Vincenzo in corrispondenza del vecchio cimitero, dove sorgono alcune tombe risalenti agli inizi del 900. Partiamo a metà pomeriggio in modo da arrivare nel punto panoramico collocato a nord-ovest in tempo per assistere al tramonto, preludio a uno spettacolo ancora più bello che ci estasierà al calar della notte: le esplosioni vulcaniche.
Il percorso procede inizialmente tra tornanti su un fondo sabbioso misto a rocce e offre suggestivi panorami su Piscità e sullo Strombolicchio. Tra macchia mediterranea, terrazzamenti e torrenti si arriva a 400 metri, dove troviamo il belvedere della Sciara del Fuoco, la parete su cui si riversa il materiale piroclastico emesso durante le costanti e frequenti esplosioni dello Stromboli.
Una volta arrivati al belvedere, i boati dal cratere, che dista solo 350 metri in linea d’aria, rendono la contemplazione del tramonto ancora più suggestiva. Quando la luce va via definitivamente il rosso della lava diventa calamita che cattura il nostro sguardo, rendendo impossibile staccare gli occhi dalle fontane di lava così vicine ed imponenti.
La salita dura un paio di ore e si può tornare al punto di partenza prendendo la mulattiera di punta Labronzo al rientro.

Dal porto a Monte Filo dell’Arpa, Alicudi (2,5h)

Alicudi è l’isola più remota e selvaggia delle Eolie, un vero paradiso per gli escursionisti.
Qui il trekking è parte integrante della vita sull’isola: è routine quotidiana per gli arcudari, i suoi abitanti, ed esperienza sorprendente per gli ospiti che vi soggiornano. Ad Alicudi, infatti, le strade non esistono e ci si sposta affrontando i ripidi gradini che partono dal porto e collegano sia le case che le sei contrade dell’isola giungendo fino alla sua sommità: ogni spostamento si trasforma, così, in un faticoso ma suggestivo trekking su gradini in pietra lavica. Che si tratti di raggiungere un’abitazione o di percorrere un sentiero, l’unità di misura, singolare peculiarità dell’isola, è sempre il gradino.
E con ben 1.700 gradini, che salendo progressivamente di quota diventano dei gradoni sempre più alti e impegnativi, vi portiamo dal porto alla cima dell’isola, il Monte Filo dell’Arpa (675 m), che deve il suo nome all’arpa, la poiana in dialetto. Un trekking unico, che inerpicandosi sulla parete sud-est dell’isola, si insinua tra le bellissime case in stile eoliano, i filari di vigneti che qua e là orlano il percorso e i terrazzamenti abbandonati risalenti agli inizi dello scorso secolo.
Ad Alicudi vegetazione e mano dell’uomo si fondono perfettamente in uno scenario di rara ed autentica bellezza. Indiscusso protagonista e compagno durante la nostra ascesa è il blu del mare, sempre più intenso alle nostre spalle. Uno dei punti migliori per ammirarlo è il belvedere su cui sorge la piccola cappella dedicata a San Bartolo, a circa un terzo del percorso.
Superate le ultime case, il sentiero diventa più impervio ed accidentato e si rischia di perderlo per via della vegetazione che ne copre le tracce. Tra felci e sassi, dopo la ripida salita che dal porto non ha mai addolcito la sua pendenza, arriviamo ad una vasta pianura dove ogni tanto fa capolino qualche capra selvatica, che ci osserva con curiosità e timore.
Il silenzio di questo luogo è assordante e qui come in nessun altro posto emerge prepotentemente il fascino solitario di quest’isola.
Ancora qualche metro e raggiungiamo il punto panoramico, a 670 m di altezza. Ci affacciamo ed Eolo riprende a soffiare con energia sul nostro volto, mentre godiamo di una meravigliosa vista dall’alto sulla contrada Bazzina e ad est su Filicudi che delinea nettamente il suo profilo sotto la luce ambrata del tramonto.
La discesa si effettua ripercorrendo in senso inverso il sentiero, ma attenzione alle ginocchia che verranno messe duramente alla prova dai gradoni.

Salita a Punta del Corvo, Panarea (1,5h)

Panarea, l’isola più chic e mondana delle Eolie, incontrastato regno del divertimento e della vita notturna, nasconde un lato bucolico e autentico che in pochi conoscono. Basta oltrepassare i confini del curatissimo centro abitato, che si estende a ridosso del porto, per immergersi, infatti, nella natura silenziosa e generosa che fa da cornice ai tre percorsi che attraversano l’isola.
Percorriamo l’itinerario che parte a nord di Panarea, nei pressi della spiaggia della Calcara. Dal porto si seguono le indicazioni per il ristorante da Paolino; 200 m dopo aver superato la trattoria si imbocca la via a sinistra e si prosegue fino ad arrivare ad un cancello.
Qui inizia Il sentiero, subito immerso nella macchia mediterranea tra lentisco, erica, cisto e silene hicesiae, il bellissimo fiore dai petali rosa che cresce solo su quest’isola. In mezzo alla vegetazione si cominciano a scorgere timidamente Basiluzzo e Stromboli a nord-est, dietro l’eliporto di Panarea.
Dopo la prima mezzora il sentiero si fa più esposto, sporgendosi sulla parete a strapiombo di fronte allo Scoglio la Nave. Voltandoci alle nostre spalle, dietro i cespugli di ginestra si scorge in lontananza la recondita Ginostra, avvolta da una leggera foschia bianca che contrasta con le luci dorate dell’imbrunire. Un’immagine fiabesca. Si prosegue attraverso la vegetazione che si fa più intensa invadendo il sentiero, ma manca ormai poco per raggiungere la vetta, Punta del Corvo (421m). Il panorama si apre adesso su Filicudi, Alicudi, Lipari e Vulcano.
Da qui è possibile proseguire effettuando la discesa sul lato sud oppure attraversando la parte centrale dell’isola. Noi scegliamo quest’ultima opzione e godiamo lungo la discesa di una bella cartolina di Panarea con le sue casette bianche circondate dal verde, i piccoli puntini delle barche in rada e Dattilo sulla destra che fanno da sfondo. Il tratto finale del percorso è completamente immerso nella vegetazione e sbocca a fianco della discoteca Raya.

Ascesa al Gran Cratere, Vulcano (45 minuti circa)

Se i trekking più belli e panoramici sono in genere quelli più lunghi e faticosi, il sentiero che conduce al Gran Cratere di Vulcano è, certamente, l’eccezione che conferma la regola. Con una passeggiata di soli tre quarti d’ora circa potremo, infatti, ammirare l’affascinante cratere di un vulcano attivo situato in uno dei punti più panoramici di tutto l’arcipelago eoliano.
L’accesso al sentiero si trova a una decina di minuti dal porto di Levante lungo la strada che porta alle località di Piano e Gelso. La salita costeggia il fianco ovest del vulcano su un terreno di sabbia vulcanica, circondato da cespugli di ginestra, che più in alto lascia spazio al tufo argilloso. Man mano che si sale di quota la vista si apre su Alicudi, Filicudi, Lipari e Salina. Arrivati in cima, a 386 metri sul livello del mare, ecco che anche le altre due isole, Panarea e Stromboli, appaiono anch’esse alla nostra vista, completando un meraviglioso “quadro” da contemplare soprattutto alla luce dell’alba o del tramonto.
Dietro di noi si staglia il cratere con i suoi 500 metri di diametro e la sua particolare colorazione giallo-rossastra dovuta all’azione dei batteri che interagiscono con lo zolfo delle fumarole. Bisogna prestare attenzione a non avvicinarvisi troppo sia perché i getti di vapore raggiungono temperature elevatissime sia perché lo zolfo è dannoso per la salute umana.
Nebbie delle fumarole e panorama mozzafiato sulle altre isole Eolie: la perfetta scenografia per una serie di scatti fotografici prima di incamminarsi lungo la via del ritorno, che si effettua sullo stesso percorso.

Da Valdichiesa al Monte Fossa delle Felci, Salina (2h)

La verdissima Salina, con il suo fascino bucolico e la geometria perfetta dei suoi coni gemelli, oggi vulcani spenti, è attraversata da più itinerari di trekking che collegano le diverse località dell’isola. Qui esploreremo il sentiero che parte da Valdichiesa (313m), frazione di Leni, e giunge alla cima del Monte Fossa delle Felci (962m), il punto più alto di tutte le isole Eolie.
La chiesa della Madonna del Terzito, dietro la quale ha inizio il percorso, dista 10 km da Santa Marina Salina e, nel caso non abbiate noleggiato uno scooter o un’auto, potete raggiungerla con i bus di linea dell’isola.
Il percorso, curato dalla forestale, sale attraverso un bosco di pini, castagni e querce, e incrocia in diversi punti una carrabile che può essere una valida alternativa per chi non è abituato a pendenze medio-elevate. Il tratto iniziale regala una bella prospettiva dall’alto su Malfa, con la chiesa dell’Immacolata e i vigneti attorno. Al termine della salita si attraversa un fitto bosco di felci, da cui prende il nome il monte. Infine, si giunge all’ambitissimo punto panoramico dal quale osservare Monte dei Porri, il cono gemello alle pendici del quale sorge Pollara, la dolce vallata di Valdichiesa, Lipari e Vulcano a sud e, infine, Alicudi e Filicudi a ovest.
Calcolate circa 2h per la salita, 1h30’ per la discesa, che si effettua per lo stesso sentiero.

Non resta che preparare l’attrezzatura e partire!